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La psicologia forense

La psicologia forense

di Ilaria Tonelli - 15/04/2024 Contenuto revisionato dalla redazione clinica
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La psicologia forense

La psicologia forense è quella branca della psicologia giuridica che applica le teorie, gli strumenti, i modelli e i metodi psicologici nell’ambito del sistema giuridico. La psicologia giuridica si occupa di mettere in connessione scienze psicologiche, scienze umane e diritto; all’interno di questa cornice teorica, in maniera più applicativa la psicologia forense si occupa principalmente di tecniche di valutazione e psicodiagnosi.


Tale disciplina è l’integrazione di tutti quei metodi e teorie nel campo della psicologia che possono essere utilizzati in ambito legale, al fine di comprendere dalla prospettiva della psicologia quelle questioni forensi che normalmente trovano una collocazione nell’ambito del tribunale. 


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Che cos'è la psicologia forense?


La psicologia forense interviene sia in ambito civile che penale, in situazioni come la valutazione dello stato mentale e delle capacità cognitive di una persona, la clinical competence, l’attendibilità e la credibilità testimoniale, la valutazione delle competenze genitoriali e la valutazione del danno psicologico, legato al danno morale (e quindi non patrimoniale).


Il risarcimento del danno morale è un aspetto sul quale soffermarsi perché, nella maggior parte dei mandati come Consulente Tecnico di Parte (CTP), è il fulcro della richiesta di una delle parti.


Di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25164 del 2020, è tornata ad affrontare il delicato e sempre attuale tema del risarcimento del danno morale quale pregiudizio non patrimoniale non avente fondamento medico legale, perciò distinto dal danno alla salute e dal relativo sistema di personalizzazione.


Il danno morale è una categoria legale che si riferisce al dolore emotivo, alla sofferenza psicologica o alla perdita di reputazione subita da un individuo a causa delle azioni di un'altra parte. Questo tipo di danno può derivare da varie situazioni, come diffamazione, molestie, violazioni dei diritti civili, perdita di un caro, ingiustizie subite o altre azioni che possono provocare stress emotivo o turbamento psicologico.


Il danno psicologico o psichico, invece, è una forma di danno che una persona subisce a seguito di eventi traumatici, esperienze negative o azioni dannose compiute da altri e può causare disturbi emotivi, ansia, depressione, stress post-traumatico, disturbi del sonno, problemi di autostima e altri sintomi psicologici. Gli esperti in psicologia forense vengono coinvolti nei procedimenti legali anche nella valutazione e documentazione di questa tipologia di danno.


Se riconosciuti dalla legge, il danno morale e quello psicologico possono essere oggetto di risarcimento monetario o di altre forme di riparazione a carico della parte responsabile.


La valutazione del danno psicologico da parte dello psicologo forense


Un definizione classica di danno psicologico è quella fornita dall’art. 2043 del Codice Civile in cui si evidenzia un nesso di causalità tra evento traumatico e danno. La conseguenza dell’evento si caratterizza in questo caso per un’importante modifica della personalità e un deterioramento del precedente funzionamento psicologico. Si può verificare un'alterazione dell’integrità psichica, unita a una modificazione qualitativa e quantitativa dell’affettività, dei meccanismi difensivi, delle pulsioni o del tono dell’umore.


Le cause del danno psicologico possono essere varie, tra cui incidenti gravi, abusi fisici o emotivi, violenze sessuali, lutti, mobbing sul posto di lavoro, ingiustizie subite, disastri naturali e altri eventi che minacciano la sicurezza o l'integrità emotiva di un individuo.


In questo caso vi sono batterie di test, tra i quali la Clinician-Administered PTSD Scale (CAPS), che sono considerati attendibili ai fini di una valutazione diagnostica. Il clinico esperto discerne se il danno psicologico è la diretta conseguenza di un evento traumatico grazie a una diagnosi differenziale che va a collocarsi sull’asse del tempo.


È importante, in questi contesti, comprendere se vi è un “prima” e un “dopo” del funzionamento emotivo, psicologico e cognitivo dell’individuo, al fine di determinare se realmente l’evento abbia causato o meno il danno. 


Andrea Piacquadio - Pexels

Diventa fondamentale comprendere se la persona era già in uno stato di fragilità emotiva, e dunque la sua percezione verso l’evento assuma una dimensione affettiva eccessiva, o se, per esempio, sono presenti tracce pregresse di disturbi dell’umore o addirittura di personalità. In questi casi il clinico ha la responsabilità di raccogliere dati anamnestici dettagliati e ripercorrere la storia della persona con lo scopo di collocare la dimensione e il peso dell’evento traumatico.


L’impatto sulla psiche è determinante e viene rilevato attraverso i sintomi che la persona porta in fase diagnostica. La raccolta degli elementi focali per la diagnosi e la relativa richiesta di risarcimento per danno psicologico, possono prevedere anche colloqui con persone vicine al soggetto che richiede la consulenza. Queste persone, infatti, possono concorrere a definire maggiormente il quadro di funzionamento del soggetto ante e post evento traumatico. 


Lo psicologo forense fornisce la propria relazione basandosi su scale cliniche che forniscono uno score sia dimensionale che quantitativo. Generalmente, però, il “punteggio” quantitativo è appannaggio del medico legale, mentre quello dimensionale  è competenza dello psicologo.


Un’altra considerazione rilevante è legata all’aspetto della simulazione per l’ottenimento di un vantaggio economico o di altra forma. 


La simulazione di una malattia, o meglio, di alcuni sintomi che possano indurre verso una diagnosi di una patologia, mira all’ottenimento di un beneficio economico (per esempio quello della legge 104) o di un beneficio secondario, come l’ottenimento della pensione anzitempo o la riduzione dell’orario di lavoro. Pertanto, il clinico ha la responsabilità di seguire delle linee guida, le cosiddette “buone prassi", tra le quali etica, riservatezza, rispetto della privacy, indipendenza e imparzialità, formazione continua.


Queste pratiche sono fondamentali per garantire che gli psicologi forensi siano in grado di fornire contributi validi e affidabili al sistema legale e di assicurare il benessere dei clienti e delle parti coinvolte nei casi.


Lo psicologo forense in ambito penale


La psicologia forense estende la sua pratica anche nel diritto penale quando vi è la necessità di una valutazione della responsabilità penale, di una eventuale reiterazione di reato e consapevolezza del reato delittuoso commesso, nonché la capacità di assistere il proprio avvocato, ossia di comprenderne il mandato. La responsabilità legale resta, chiaramente, appannaggio della giurisprudenza.


Come la psicologia, anche il diritto si occupa della condotta umana, tant’è che da sempre la dottrina della giurisprudenza fa riferimento a concetti psicologici. Partendo da questo presupposto, l’art. 133 del Codice Penale prevede che il giudice tenga conto del carattere del reo e quindi del cosiddetto “elemento psicologico” per conferire una pena adeguata. È inoltre contemplato il “diritto della personalità” come salvaguardia per alcuni diritti soggettivi come l’integrità fisica, l’onore e l’immagine. 


Alcuni aspetti del diritto (Gulotta et al., 2023) concernono infatti contenuti direttamente psicologici, per esempio l’esclusione di cause di indegnità genitoriale quali precondizioni per l’adozione (art. 306 c.c.), della capacità naturale per contrarre negozi giuridici (art. 1425 c.c.) o di costrutti giuridici precipuamente mentalistici come quelli in cui si fa riferimento alla buona fede nella simulazione (art. 1414 c.c.).


Interessante in questa cornice è la differenza tra “responsabilità di” e “responsabilità per”. 


Nel primo caso si parla di una responsabilità legata a un ruolo o uno status, per esempio una funzione genitoriale, imprenditoriale, oppure l’essere cittadino, apolide e così via.


Per quanto concerne la “responsabilità per”, la giurisprudenza intende quella offesa perpetrata in maniera fraudolenta che ricade nel diritto penale, oppure una lesione in ambito civile, che ha generato un’inadempienza. È in questo contesto che la psicologia si incastona per metodo e discernimento con il fine di comprendere le cause cognitive che hanno spinto il soggetto al compimento di azioni illecite colpose o volontarie. 


Cosa fa lo psicologo forense?


Il ruolo dello psicologo forense è molto vario, tant’è che il professionista può operare sia in ambito civile che penale, ricoprendo di volta in volta differenti mansioni.


Lo psicologo forense viene solitamente interpellato per fare una valutazione psicologica, con lo scopo di verificare le funzioni cognitive di un individuo (per esempio, se è in grado o meno di partecipare al processo). Al fine di poter produrre una valutazione attendibile il professionista ha l’obbligo di aver conseguito un’adeguata preparazione nell’ambito della psicodiagnosi


Andrea Piacquadio - Pexels

Si richiede infatti la somministrazione di batterie di test scientificamente attendibili, dato che alcuni test proiettivi o del disegno non sono sufficienti ai fini della diagnosi. Il professionista psicologo quindi, oltre a sostenere il colloquio clinico, somministra test valutativi come il MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), il MCMI (Millon Clinical Multiaxial Inventory) e test per verificare la presenza di possibili disturbi, per esempio un test sul disturbo post-traumatico da stress.


Il professionista, inoltre, deve tenere conto anche del contesto socio-economico della persona che sta valutando e il contesto culturale di provenienza. In una società sempre più cross-cultural è necessario adottare una prospettiva multietnica e sociale differente rispetto a qualche anno fa.


Lo psicodiagnosta può essere uno psicologo che svolge esclusivamente l’attività di diagnosi psicologica, ma potrebbe essere anche uno psicoterapeuta. Al fine della diagnosi forense, è importante sottolineare che i ruoli devono essere necessariamente distinti a seconda dell’intervento e del mandato. 


La figura dello psicologo CTP


Lo psicologo forense può rivestire inoltre il ruolo di CTP, cioè Consulente Tecnico di Parte. In tale veste viene incaricato direttamente dal cliente o dall’avvocato dello stesso e svolge il suo ruolo con l’intento di supportare la versione della parte per la quale è stato chiamato.  Collabora solitamente con il CTU (Consulente Tecnico di Ufficio) e il CTP della controparte.


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Esiste una differenza sostanziale tra CTP in ambito penale e civile. Nel primo caso, lo psicologo può essere chiamato a “testimoniare”, mentre nel secondo caso non è prevista questa possibilità. Qualora fosse chiamato a testimoniare, lo psicologo è sempre tenuto al rispetto del segreto professionale e all’etica che regolamenta la professione. Produrrà pertanto una testimonianza solamente in merito alla relazione che aveva precedentemente redatto per il proprio cliente. 


La figura dello psicologo CTU


La figura del CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) è regolamentata dall’Albo dei Consulenti Tecnici e Periti. Come stabilito dall’art. 13 del Codice di Procedura Civile, devono essere sempre comprese nell'Albo le categorie “1) medico-chirurgica; 2) industriale; 3) commerciale; 4) agricola; 5) bancaria; 6) assicurativa; 7) della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia giuridica o forense”.


Il CTU è nominato dal giudice e, all’atto della nomina, diventa ausiliario del giudice. Per poter ricoprire questo ruolo, è tassativa una preparazione accademica, metodologica e strumentale. Per iscriversi all’Albo dei CTU, infatti, è necessario un master post-laurea di almeno 1500 ore di formazione.


Se lo psicologo CTU non è specializzato anche in psicodiagnosi, può avvalersi di un professionista per la parte valutativa e relativa ai test, che opera sotto la sua responsabilità. 


Lo psicologo come mediatore familiare


Lo psicologo forense si può occupare anche di mediazione familiare. Tale figura è regolamentata da più di un Albo e si può entrare a far parte della rete della mediazione familiare in seguito a un master della durata di due anni regolarmente riconosciuto.


Il mediatore familiare può essere uno psicologo, ma anche un avvocato. La peculiarità della mediazione è quella di accompagnare la coppia che vuole separarsi nel prendere delle decisioni in autonomia, che verranno poi ratificate dal mediatore o dall’avvocato e presentate direttamente al giudice. La mediazione è un percorso articolato e strutturato che ha come fine quello di portare la coppia a un’assunzione di responsabilità condivisa, soprattutto nella gestione dei figli. Alla mediazione può essere affiancata la terapia di coppia, utile per sostenere i coniugi in una separazione rispettosa e consapevole.


Al termine del percorso di mediazione vengono sottoscritti gli accordi delle parti e presentati nell’istanza di separazione o divorzio. Attraverso la mediazione la coppia è responsabile di propri accordi ma, dopo aver valutato la causa e la condotta delle parti, il giudice può chiedere l’applicazione di un terzo modello di mediazione. Si tratta della mediazione delegata o sollecitata dal giudice, che va ad aggiungersi a quella “facoltativa” e “obbligatoria”.


In questa circostanza il giudice può, anche al di fuori della mediazione obbligatoria prevista dalla legge, ordinare alle parti un ulteriore tentativo di mediazione e rimandare il giudizio all'udienza successiva.


Il curatore speciale del minore


Lo psicologo forense, oltre al ruolo di CTU, CTP e mediatore familiare, può ricoprire anche quello di curatore speciale del minore. Questa figura, che può essere rivestita da un avvocato o da uno psicologo, è stata introdotta in seguito alla Riforma Cartabia (D. lgs 10 ottobre 2022, n.149) e al conseguente snellimento del processo penale. Il curatore speciale ha un mandato di una durata limitata nel tempo e svolge la mansione gratuitamente, oppure inserendosi nel gratuito patrocinio.


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È una figura di recente istituzione le cui aree di intervento, mansioni e prospettive sono ancora in via di definizione, motivo per cui viene spesso confusa con quella del tutore.


Per diventare curatore speciale del minore è necessario frequentare un corso di formazione specifico, normalmente indetto dalla regione di appartenenza. Per accedervi è necessaria un’esperienza pregressa in ambito della cura del minore e una formazione accademica. 


Come diventare psicologo forense


Per svolgere la professione di psicologo forense, è necessario aver conseguito una Laurea Magistrale in Psicologia, aver superato l’Esame di Stato ed essere iscritti all’Albo degli Psicologi della propria regione.


Negli ultimi anni, diverse facoltà italiane hanno iniziato a proporre corsi di Laurea Magistrale che consentono di specializzarsi già durante il percorso accademico. Per esempio:



Sebbene l’attività formativa post-laurea non sia obbligatoria, il CNOP consiglia di acquisire conoscenze e competenze specifiche, utili per lo svolgimento della professione, attraverso varie attività, come lo svolgimento tirocini in aree relative alla psicologia giuridica e la frequentazione di Master e Corsi di Alta Specializzazione.


BIBLIOGRAFIA


  • Gulotta G. et al., 2023, Ambiti e prospettiva della psicologia giuridica, Galton, Roma-Milano 
  • Parkinson L., 2013, La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Erickson, Trento
  • Ruo M. G., 2023, Curatore del minore e avvocato. Cosa cambia dopo la riforma del giudice e del processo per persone, minori e famiglie, Maggioli Editore, Rimini
  • Ardesi S., Loda C., 2022, Il curatore del minore, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 
  • Sammicheli L., 2019, La perizia psicologica. Prospettive e metodi in psicologia e psicopatologia forense, Il Mulino, Bologna
  • Camerini G., 2018, Manuale psicoforense dell’età evolutiva, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 
  • Stampa P., Giannini A. M., 2019, Psicologia, etica, diritto. Prospettive, criticità e problemi aperti, Franco Angeli, Milano

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