La senti quell’atmosfera da ultimo giorno di scuola? Quel brivido che ti percorre la schiena mentre saluti il tuo ultimo paziente prima della sospensione estiva? 3,2,1… che le ferie abbiano inizio!
Un attimo, fermi tutti. Ci sono ancora quelle e-mail a cui rispondere, i dati da caricare sul Sistema Tessera Sanitaria, le ricevute da predisporre e inviare. Poi ci sono loro: il paziente che ti sta così a cuore e che ti ha raccontato di aver fatto pensieri di morte nelle ultime sedute e la paziente che ha un disturbo di personalità importante che le fa vivere malissimo l’abbandono.
Il cellulare squilla, è la famiglia che ci aspetta per partire che ci richiama all’ordine. Avrò comunicato a tutti i pazienti il periodo di assenza? Avrò fatto bene a lasciare la disponibilità dell’e-mail per urgenze? Avrei, forse, dovuto lasciare il numero del cellulare in modo da essere più facilmente raggiungibile?
Altro che relax, sotto l’ombrellone mi porterò un sacco di preoccupazione e stress. Che poi, a pensarci bene, il mare nemmeno mi piace, preferirei la montagna. Lì però il telefono non prende… e se qualcuno mi cerca? Se dovessero contattarmi nuovi pazienti? Non posso perdere l’occasione di incrementare il mio lavoro.
E se portassi in vacanza con me quel bimbo tanto tenero che mi fa piangere il cuore ogni volta che lascia lo studio? In fondo Winnicott lo faceva. Oppure potrei non partire proprio, inventando una scusa. Il computer lo porto con me? Qualche libro da leggere per studiare meglio quel tema così complesso? Forse non è proprio una lettura da sdraio. Però mi sarebbe tanto utile al ritorno alla ripresa del lavoro.
Tutti gli anni la stessa storia. Le attendi, le sogni, ne senti la necessità, ma le ferie possono essere un tormento. Un attimo, però! Proprio Winnicott diceva di “stare vivo, stare bene, stare sveglio”. Forse ho bisogno della pausa dalla terapia per prendermi cura di me stesso, riposare, pensare, vivere. Altrimenti sul “lettino” ci torno io.
Le ferie estive dello psicologo: come gestirle?
Come tutti i lavoratori, anche psicologi e psicoterapeuti necessitano di periodi di sospensione dal lavoro. Anche se, apparentemente, ascoltare e pensare sono azioni poco dispendiose, le energie mentali necessarie nei lavori di relazione sono elevatissime.
Il burnout dello psicologo è un rischio concreto, anche se sono state sviluppate risorse per prevenirlo, evitarlo o almeno riconoscerne i primi segnali tramite il lavoro su di sé e nel proprio percorso personale. Per gli operatori che, invece, si occupano dell’assistenza a persone sofferenti, non si parla di burnout ma di compassion fatigue (Sabo, 2011).
In una review della letteratura sul tema (Sinclair et al., 2017) si evidenzia come lo stress cumulativo legato al lavoro che svolgono i professionisti sanitari impatti negativamente su molteplici aspetti della loro salute e, complessivamente, sui servizi di cura. Come sostenuto da Rees & Wood (2024), per un terapeuta prendersi cura di sé è un “imperativo”, ma il fatto di essere focalizzati su un’altra persona in difficoltà rischia di far perdere il contatto con le proprie necessità.
Anche per questo motivo le ferie estive dello psicologo possono diventare una questione di difficile gestione. Se, come a volte ci viene ricordato, è vero che non salviamo vite, è altrettanto vero che ci prendiamo cura di percorsi esistenziali. Chi, avendo in cura una pianta, partirebbe a cuor leggero sapendo che necessita di acqua, luce, adeguata temperatura? Chi si occuperà di questa creatura in nostra assenza?
Si sentono già le comprensibili rimostranze dei puristi del setting e di coloro che, giustamente, evidenziano che le ferie dello psicologo sono necessarie per il professionista e un momento di crescita importante per i pazienti e per la relazione terapeutica, anche per evitare pericolose collusioni. Come ci ricorda Goldberg (2008), il setting è utile a creare un posto sicuro. Inoltre, secondo Wright (2016), allontanarsi dalle regole può essere utile a ravvivare l’attenzione del professionista sulle peculiarità di un determinato paziente.
Senza insistere troppo su metafore facilmente smontabili sia con il fioretto della logica e del buon senso, sia con la sciabola della teoria della tecnica, può essere importante soffermarsi su alcune situazioni particolari:
- pazienti che hanno verbalizzato un’intenzione suicidaria
- pazienti con disturbi di personalità, per esempio borderline, particolarmente soggetti alla tematica dell’abbandono
- gestione di possibili momenti di crisi per la persona che si è rivolta a noi per un percorso di sostegno psicologico o di psicoterapia
- come ci sentiamo noi, quali emozioni proviamo rispetto ai diversi pazienti e quali sono le situazioni che ci fanno sentire comodi o, al contrario, particolarmente a disagio.
Ferie estive dello psicologo: riflessioni da portare sotto l’ombrellone
Quando si parla di ferie e sostegno psicologico, è essenziale trovare un equilibrio, cioè una situazione che metta comodi noi professionisti, eventuali familiari o partner che ci accompagnano in vacanza e le persone che ci hanno scelto per una consulenza o una terapia.
In alcuni casi, soprattutto in ambito psicoanalitico, la soluzione era ed è semplice. Se il terapeuta non c’è durante il mese di agosto e il paziente non si allinea a questo periodo di assenza, paga le sedute che salta durante il proprio periodo di ferie.
Tenendo come doverosa la riflessione teorica sottostante, cioè che la terapia è un investimento e occorre educare il paziente a riconoscerne l’importanza, così come è importante non alimentare una sua eccessiva dipendenza dal terapeuta, possiamo ipotizzare che si tratti di una situazione comoda per il professionista, ma molto meno per il paziente.
Proviamo a ragionare su come un terapeuta che va in ferie ad agosto può gestire tre pazienti che vanno in vacanza rispettivamente a giugno, luglio e settembre. Il rischio di perdere molte sedute è alto e questo può avere un impatto non solo sul percorso terapeutico, ma anche sul ritorno economico del professionista.
In situazioni simili, in linea generale, può essere utile:
- comunicare al paziente con congruo anticipo la data della propria assenza
- ragionare con una certa flessibilità sulla gestione del percorso terapeutico, delle questioni economiche, degli aspetti emotivi e affettivi.
Per farlo, è necessario considerare vari aspetti inerenti al paziente, alla relazione terapeutica e alla propria attività:
- il tipo di percorso che il paziente sta seguendo: si tratta di sostegno psicologico o psicoterapia?
- il punto del percorso in cui ci si trova: fase iniziale, stallo, crescita o conclusione
- possibile impatto delle sospensioni sul percorso
- emozioni in gioco
- caratteristiche del singolo paziente: un paziente che sta seguendo un percorso di crescita personale potrà essere gestito in maniera diversa da una persona borderline, con attacchi di panico o con disturbo depressivo
- tipologia di lavoro: in libera professione oppure in un contesto con ferie retribuite
- fase del proprio percorso professionale: in una fase iniziale il carico di lavoro è minore, mentre, se si ha più esperienza, i pazienti potrebbero essere più numerosi.
Sándor Ferenczi evocava l’elasticità della tecnica in ambito psicoanalitico (Ferenczi, 1928; Borgogno, 2008). Questa flessibilità può spaventare perché ci fa sentire meno difesi dal setting e più vulnerabili, mettendoci nella condizione di dover scegliere.
Nel caso delle ferie estive le domande che lo psicologo potrebbe porsi sono:
- quanto lavoro sono disposto a portare con me?
- quanto mi fa sentire a mio agio dover rispondere a e-mail, messaggi o chiamate mentre sono in vacanza?
- quale impatto economico, se sono in libera professione, sono disposto ad accettare nel gestire la sospensione estiva?
Ovviamente, non ci sono risposte giuste o sbagliate, ma solo abiti su misura che ogni professionista può provare a costruire su di sé, senza rinunciare all’equilibrio prima menzionato.
Se si decide di lasciare un margine di flessibilità alle comunicazioni con i pazienti, è importante stabilire delle regole che salvaguardino la godibilità del periodo di ferie. Per esempio, dopo aver comunicato il proprio periodo di ferie con sufficiente anticipo, così da avere ancora a disposizione delle sedute in cui parlare di cosa si muove a livello emotivo, si può provare a:
- stabilire una sorta di patto-contratto: si può offrire disponibilità a rispondere alle e-mail o ai messaggi non appena possibile, oppure in determinate ore del giorno
- con i pazienti soggetti a crisi o con ideazione suicidaria, si può provare a lasciare una porta aperta a condizione che abbiano bene in mente cosa fare in caso di necessità, per esempio contattare il 112, fare riferimento al medico di base, allo psichiatra, ai numeri di emergenza. È già gravoso portarsi in vacanza una preoccupazione di questo tipo, per cui l’imperativo per il professionista deve essere quello di non sentirsi solo, ma inserito in una rete
- proporre ai pazienti di scrivere dei diari dei quali si può parlare al proprio ritorno. Si tratta di una sorta di oggetto transizionale che potrebbe “sostituire” temporaneamente il professionista.
Allo stesso modo, la decisione rispetto ai fattori economici è profondamente personale. In un contesto come quello attuale, nel quale reperire un professionista è meno complesso che in passato, il paziente potrebbe scegliere di affidarsi a qualcun altro. Anche questo è un tema su cui porre la propria attenzione: quanto temo che la sospensione per le ferie possa spingere il paziente ad allontanarsi?
Si potrebbe giustamente obiettare che si trattava di un paziente poco motivato. Da un punto di vista clinico, questo ragionamento ha una sua solidità, ma può non essere così semplice da metabolizzare per un professionista all’inizio della propria esperienza. In questa fase, la necessità di nuovi pazienti mette nelle condizioni di farsi un’altra domanda: quante sedute posso perdere senza avere un impatto economico eccessivamente pesante?
Per risolvere questo aspetto si potrebbe trovare un accordo con il paziente sul recupero delle sedute che si saltano per le vacanze di quest’ultimo. Ritorna il tema dell’equilibrismo tra svariati fattori che rendono la gestione del periodo di ferie non così scontata. La domanda essenziale riguarda cosa ci faccia stare bene e ci consenta di recuperare energie in vista della ripresa delle attività lavorative.
Se, infatti, partire con la preoccupazione per fattori emotivi, affettivi, economici rischia di angustiare le ferie del professionista, occorre trovare un habitat differente che, nel rispetto delle deontologia e del benessere personale individuale e del paziente, metta a proprio agio.
Se a queste variabili aggiungiamo familiari o partner comprensibilmente infastiditi dalle e-mail alle quali pensano non sia necessario rispondere, la leggenda secondo cui lo psicologo non va mai in ferie rischia di avverarsi. È importante considerare anche la particolarità del setting online, che ogni psicologo vive in maniera diversa: alcuni professionisti potrebbero avere maggiore difficoltà nella delimitazione del tempo e dello spazio dedicati al lavoro; altri potrebbero apprezzare la grande comodità di gestire i propri appuntamenti ovunque ci sia una connessione, per non essere poi soverchiati dal lavoro al rientro dalla pausa estiva.
Guardati dentro e trova il tuo equilibrio
Basandoci sui nostri percorsi personali, sul confronto con i colleghi e sulla teoria, possiamo trovare validi supporti nel nostro esercizio di equilibrismo. Nel nostro lavoro ci prendiamo cura delle esistenze altrui, che non vanno in vacanza.
Dialogare con i pazienti, oltre che con i colleghi, ci può far scoprire che le persone capiscono che anche noi abbiamo bisogno dei nostri spazi per prenderci meglio cura della loro esistenza. Apprezzano la disponibilità nel sentirci presenti via e-mail, ma capiscono se non li vogliamo sentire nel nostro periodo di ferie. A volte è sufficiente dare la propria disponibilità al paziente, perché il solo fatto di “poter contare su”, diminuisce i livelli di angoscia.
L’importante è che troviamo, nella nostra mente, uno spazio per dare un po’ di acqua alla pianta di cui ci stiamo prendendo cura. La modalità la possiamo decidere con i pazienti che così possono imparare a prendersi cura della loro parte di pianta e, perché no, a prendersi cura di noi.
BIBLIOGRAFIA
- Borgogno, F. (1998). L'elasticità della tecnica come progetto e percorso analitico di Sándor Ferenczi. Rivista di Psicoanalisi, 44:769-788
- Ferenczi, S. (1928). L’elasticità della tecnica psicoanalitica. Fondamenti di psicoanalisi, vol. 3. Milano: Raffaello Cortina Editore
- Goldberg, A. (2008). Some limits of the boundary concept. The Psychoanalytic Quarterly, 77(3), 861-875
- Rees, S. D. & Wood, S. A. (2024). Self-care for Therapists. A Therapist’s Guide to Private Practice, 141-152. Londra: Routledge
- Sabo, B. (2011). Reflecting on the concept of compassion fatigue. Online journal of issues in nursing, 16(1):1
- Sinclair, S., Raffin-Bouchal, S., Venturato, L., Mijovic-Kondejewski, J., Smith-MacDonald, L. (2017). Compassion fatigue: A meta-narrative review of the healthcare literature. International journal of nursing studies, 69, 9-24
- Wright, S. (2016). Boundary and analytic attitude: reflections on a summer holiday break. Journal of Analytical Psychology, 61(3), 274-288.