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Dismorfismo corporeo e terapia

Dismorfismo corporeo e terapia

di Gabriella De Stefano - 29/05/2024 Contenuto revisionato dalla redazione clinica
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Dismorfismo corporeo e terapia

Il termine dismorfofobia deriva dal greco dis-morphé (forma distorta) e phobos (timore) ed è la convinzione di avere uno più difetti fisici molto evidenti che generano un grande disagio nel paziente.


Le persone che soffrono di questo disturbo, infatti, sono eccessivamente preoccupate di presunti difetti fisici che, però, agli occhi degli altri sono irrilevabili o estremamente ridotti. Passano molto tempo mettendo in atto una serie di processi di pensiero che assumono il carattere dell’ossessività, generando vissuti angosciosi e depressivi.


Molti pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo (BDD, cioè body dysmorphic disorder) ricorrono a trattamenti cosmetici, finanche alla chirurgia estetica, per cercare di eliminare i difetti percepiti. Purtroppo queste azioni si rivelano non solo inefficaci, ma spesso peggiorative del disturbo.


Chi soffre di BDD è spesso fortemente compromesso, soprattutto nell’ambito sociale, poiché arriva al punto di evitare molte situazioni per non dover sopportare la vergogna di esporsi a un pubblico che è percepito come potenzialmente giudicante e umiliante. È quindi fondamentale riconoscere il disturbo ed effettuare un’accurata diagnosi differenziale per indirizzare al meglio il lavoro terapeutico.  


Il dismorfismo corporeo nel DSM-5


Nell’ultima edizione del DSM-5, il BDD è inserito nella sezione dedicata ai disturbi correlati al disturbo ossessivo-compulsivo e i criteri diagnostici sono i seguenti: 


  • preoccupazione per uno o più difetti, o difetti percepiti nell'aspetto fisico, che alle altre persone non sono visibili o appaiono lievi
  • nel corso del disturbo, l'individuo ha eseguito comportamenti ripetitivi o atti mentali in risposta alle preoccupazioni sul proprio aspetto fisico 
  • la preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti
  • la preoccupazione per l'aspetto non è meglio spiegata dalle preoccupazioni per il grasso corporeo, o per il peso, in un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare. 

Andrea Piacquadio - Pexels

Il Manuale chiede, inoltre, di attenzionare due aspetti:


  • eventuale presenza di dismorfismo muscolare, ovvero se la persona è preoccupata rispetto all’adeguatezza della sua massa muscolare. Questa evenienza è quasi esclusivamente appannaggio degli uomini
  • valutazione dell’insight, che può essere buono o adeguato, nel caso in cui il soggetto sia consapevole di avere dei pensieri troppo esagerati rispetto al suo presunto difetto fisico. Se invece la persona crede che i suoi pensieri sul proprio dismorfismo siano probabilmente veri, l’insight è scarso. In alcuni casi, l’insight può essere assente e il paziente può avere convinzioni deliranti rispetto al proprio aspetto fisico: ciò si verifica quando il paziente è assolutamente convinto dell’esistenza di un dismorfismo laddove nessun altro nota difetti tanto evidenti. Nei casi più gravi la persona si vede decisamente deforme.  

Diagnosticare la dismorfofobia


Fermo restando che la diagnosi è eseguita principalmente durante il colloquio clinico, abbiamo a disposizione degli strumenti psicometrici che possono aiutare i professionisti in questo delicato processo.


Lo screening è eseguibile tramite il Body Dysmorphic Disorder Questionnaire (BDDQ) ideato dalla psichiatra Katharine Phillips. Si tratta di un questionario molto breve che, in base a uno studio condotto su 66 partecipanti, ha mostrato una sensibilità del 100% ed una specificità del 89% (Phillips, 2005). 


La diagnosi si basa sulla raccolta anamnestica e sul colloquio clinico, ma può essere coadiuvata dall’utilizzo del Modulo Diagnostico per il Disturbo da Dismorfismo Corporeo, creato dalla stessa Phillips.  


Diagnosi differenziale


Come per tutti i disturbi psichici, è importante effettuare un'accurata diagnosi differenziale.


Un primo distinguo va fatto tra BDD e disturbo del comportamento alimentare (DCA), in particolare dall’anoressia nervosa: in caso di DCA, l’attenzione del paziente coinvolge l’intera immagine corporea mentre, solitamente, nel BDD il soggetto è focalizzato su uno o su pochi specifici difetti fisici che non hanno a che fare con il grasso o il peso. 


Oltre a questa discrepanza, sono evidenti altre differenze tra i due disturbi: in primis il peso corporeo, che nei casi di anoressia è significativamente al di sotto della norma, mentre nei pazienti con BDD si mantiene normale. Nei casi di DCA, la sensazione di inadeguatezza del proprio corpo può essere superata attraverso uno stretto controllo sulla dieta, mentre nel paziente dismorfofobico nessun controllo o cambiamento fisico sarà utile a eliminare il presunto difetto corporeo.


Infine, le diagnosi di anoressia sono significativamente sbilanciate verso una prevalenza femminile, mentre la percentuale di BDD è pressoché equivalente tra uomini e donne, con un leggerissimo sbilanciamento in favore del sesso femminile.


cami - Pexels

Altro disturbo che deve essere differenziato dal BDD è il disturbo ossessivo-compulsivo. Entrambi sono caratterizzati da condotte ripetitive ed egodistoniche, ma la motivazione alla base di tali comportamenti è differente: anche qualora fossero presenti preoccupazioni ossessive relative al corpo, nel DOC la motivazione è riferibile al dominio della moralità. Per esempio, il paziente con DOC si sente costretto a controllare ossessivamente il proprio corpo per essere certo di non avere qualcosa che non vada che potrebbe essere motivo di pericolo o danno verso altre persone, sviluppando il cosiddetto senso di colpa deontologico.


È importante anche effettuare diagnosi differenziale con disturbi depressivi, fobia sociale e disturbo evitante di personalità. 


Eziopatogenesi e incidenza del disturbo da dismorfismo corporeo


Come per la maggior parte dei disturbi psichici, anche nel dismorfismo possiamo osservare un’eziologia complessa comprendente fattori biologici, psicologici e sociali.


Per quanto riguarda l’aspetto puramente biologico, nonostante non vi siano studi genetici sul BDD, è stata evidenziata la presenza di familiarità: uno studio sui gemelli ha mostrato che il 44% delle coppie prese in esame condivideva preoccupazioni dismorfiche (Monzani B. et al., 2012) e, in generale, l’8% dei pazienti diagnosticati proviene da famiglie nelle quali c’è almeno un altro caso di BDD.


Le vulnerabilità biologiche si combinano con fattori psico-sociali: abusi fisici e sessuali subìti durante l’infanzia sembrano essere frequentemente segnalati dai pazienti (Buhlmann U. et al., 2012).


Infine, giocano senza dubbio un ruolo importante i canoni di bellezza proposti dalla società d’appartenenza: in base a questi, ovviamente, la persona si vedrà mancante o difettosa rispetto a uno specifico aspetto del suo corpo.


La dismorfofobia è un disturbo piuttosto frequente: si stima che l’incidenza vari tra l’1,7% e il 2,9% della popolazione (Hartmann & Buhlmann, 2017). In contesti specifici, le percentuali sono maggiori: dal 7,4% nei pazienti psichiatrici ricoverati, fino al 20,1% tra i pazienti sottoposti a rinoplastica (Veale D. et al., 2016).  


Dismorfofobia e altri disturbi


Vari studi hanno evidenziato che le comorbilità tra la dismorfofobia e altri disturbi sono molto elevate.


Per quanto riguarda i disturbi di Asse I (Gunstad & Phillips, 2003), una prima importante comorbilità è quella con il disturbo depressivo maggiore: in base al campione di riferimento degli studi, la comorbilità varia tra il 55% e l’83%. Questo dato potrebbe spiegare anche l’alta presenza di ideazione suicidaria o reali tentativi di suicidio in questi pazienti.


 Al secondo posto tra le comorbilità troviamo le dipendenze da alcool o droghe (30-50%), alle quali seguono fobia sociale (37-39%) e disturbo ossessivo-compulsivo (32-33%). 


È altrettanto interessante osservare l'incidenza di BDD in pazienti che hanno ricevuto una diagnosi per disturbi di Asse II. Uno studio piuttosto datato (Hollander E. et al., 1993) evidenzia una comorbilità del 16% con i disturbi di personalità del Cluster C (evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo), del 12% con i disturbi di personalità del Cluster B (istrionico, narcisistico, antisociale, borderline) e del 10% con i disturbi di personalità del Cluster A (paranoide, schizoide, schizotipico).


Phillips e McElroy, in uno studio del 2000, hanno valutato tramite SCID-II 148 soggetti con diagnosi di BDD: il 57% di essi ha soddisfatto i criteri per uno o più disturbi di personalità, con prevalenza dei disturbi del Cluster C: disturbo evitante di personalità (43%), dipendente (15%), ossessivo-compulsivo e paranoide (14%).


Anche uno studio più recente (Sahraian A. et al., 2021) ha individuato tratti narcisistici nel 29,5% dei 380 pazienti con BDD presi in considerazione. 


Il lavoro clinico con il paziente con dismorfofobia


Il trattamento del paziente con dismorfofobia è generalmente una combinazione di terapia farmacologica e psicoterapia.


Il trattamento farmacologico di prima scelta prevede l’assunzione di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), utili in particolare nei casi in cui vi sia comorbilità con un disturbo dell’umore o nei casi più gravi, dove l’insight è assente o il paziente si configura a tratti delirante.


Tra le psicoterapie, la cognitivo-comportamentale sembra essere molto efficace per i sintomi della dismorfofobia: un primo intervento terapeutico utile è l’Esposizione con Prevenzione della Risposta (Exposure and Response Prevention – ERP) che prevede l’esposizione graduale alle situazioni temute, per esempio guardarsi allo specchio, trovarsi in situazioni sociali o in ambienti particolarmente illuminati, andare al mare o in piscina. 


Andres Ayrton - Pexels

Durante queste esposizioni, alla persona viene chiesto di non mettere in atto comportamenti protettivi e tentativi di soluzione disfunzionali, come l’utilizzo di molto trucco, occhiali o altri oggetti che possano coprire il viso, abiti che nascondano parti del corpo considerate sgradevoli dal paziente, oppure l’attenzione che il paziente concentra sugli altri, sui loro sguardi e sulle loro presunte reazioni di disgusto o di giudizio, allo scopo di creare un’abituazione al disagio. 


Altre tecniche usate nella TCC sono:


  • la psicoeducazione
  • il training attentivo (ATT, Attention Training Technique di Wells) utilizzato in particolare nell’ambito della terapia metacognitiva
  • interventi per aumentare la motivazione, la ristrutturazione cognitiva e il mirror retraining (riaddestramento allo specchio; Krebs et al., 2017).

In generale sarà utile aiutare il paziente ad allargare il suo focus attentivo all’intero corpo, considerandolo in modo più “olistico” (Wilhelm S. et. al., 2012).  


Efficacia dei trattamenti


Diversi studi (Neziroglu F., Khemlani-Patel S., 2002; McKay D., 1999) hanno dimostrato che la TCC riduce significativamente i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo nei pazienti presi in esame.


Anche tecniche di mindfulness sono state integrate con successo nel trattamento della dismorfofobia (Gu Y., Zhu Y., 2023). Questo approccio si concentra sull'essere consapevoli del momento presente in modo accettante e non giudicante. I pazienti imparano a riconoscere e accettare i loro pensieri e sensazioni senza reagire ad essi in modo impulsivo o evitante, sviluppando una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie esperienze e riducendo l'ansia e la preoccupazione legate all'aspetto fisico.


Una menzione a parte merita il trattamento della dismorfofobia tramite EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), che si è scoperto avere un grande potenziale per la cura di molti disturbi psicologici, tra i quali anche la dismorfofobia.


È importante che psicologi e psicoterapeuti conoscano questo disturbo e sappiano svolgere un'accurata diagnosi. Sarebbe auspicabile che tale conoscenza si estendesse anche ai medici, in particolare ai chirurghi estetici.


ll lavoro clinico con i pazienti con dismorfofobia richiede infatti un approccio multidisciplinare e individualizzato. Attraverso l'uso di strategie terapeutiche evidence based e una comprensione empatica delle esperienze dei pazienti, è possibile promuovere il recupero e il benessere psicologico di coloro che vivono con questo disturbo debilitante.  


BIBLIOGRAFIA


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